Lui & Lei
Desiderio proibito


21.01.2025 |
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"“Bella gioventù” rilancio, ma quella non mi si fila..."
Non avrei mai immaginato quanto potere possa esercitare un libro, tenuto in mano, ma soprattutto letto, anche nel gioco della seduzione.D’accordo, il 69% dei lettori è composto da femmine, di nascita o di percorso. Ma per me un libro è un libro. E invece per loro, le dee, un libro è un segnale distintivo. Una pre-selezione naturale, perché apre all’immaginazione, al desiderio talvolta inespresso (non dico represso), alla voglia di essere posseduta a livello cerebrale prim’ancora che fisico. E allora voglio portarvi in questa storia che, come al solito, mischia vita vissuta a qualche doveroso accorgimento per tutelare l’identità delle mie amiche più care.
Il gioco iniziò in libreria. Non la mia libreria abituale, ma una di mare. Bella, ordinata, pulita, con due libraie appassionate. Una molto preparata, colta, una bambolina in miniatura e quasi glielo direi se non fosse che impera il politically correct che a me non frega, ma non ho energie da buttare in inutili disquisizioni. L’altra è un po’ più matura, tra i 40 e i 50 per intenderci, con una camicetta aderente di trasparenza e una maglietta di raso che trattiene malamente un seno prospero, i capezzoli che muovono il tessuto e stimolano in me le fantasie più morbose.
Scelgo un testo complicato come l’Ora delle streghe. Splendido per come è stato scritto e soprattutto pensato. Una saga con pochi passaggi piccanti e molta storia, le donne al centro – sempre – e un demone che le tormenta. È un tomo importante nelle forme, che non passa inosservato e che porto a malapena nella mano mentre mi avvio sul lungomare, inseguendo il desiderio di una Lady che da un paio di anni agita i miei sonni.
L’ho vista camminare con le caviglie coperte di mare, una discreta tonicità muscolare, il tatuaggio dietro il collo a forma di corona, un altro a disegnare una cavigliera, il due pezzi provocante senza essere volgare. Si circonda di selfie, si racconta senza soluzione di continuità, posta come se non ci fosse un domani e sul suo profilo (non ho fatto fatica a individuarlo) i commenti esprimono il più becero maschilismo in alternativa a improbabili parole cavalleresche, perché tanto lo so, tutte le strade portano sempre al centro di gravità della donna. Siamo tutti dipendenti da quel taglio della natura e da ciò che orbita attorno.
Vorrei averla, in uno dei momenti d’estate. Sul bagnasciuga al tramonto, avvolti di veli inzuppati d’acqua marina, a imprimere i colpi di sesso sulla sabbia levigata dalla risacca, o in una cabina mentre lei si sta cambiando e io mi materializzo trovandola disponibile perché lei, nell’anima, è una che appaga il proprio desiderio facendosi prendere anche di sorpresa.
Non la immagino col marito cuck, perché il suo lui, che ho individuato, non mi sembra uno spettatore passivo che assiste alla sua lei portata agli spasmi da mani e falli esperti. Me la vedo invece in un comodo letto, morbido, le tende mosse al vento della notte, caldo, mentre afferra e quasi strappa le lenzuola di seta nera, le cosce divaricate, mentre la bacio nella sua intimità più profonda.
Invece mi ritrovo nel solito stabilimento, i volti che si ripetono negli anni segnati da qualche nuova ruga che affiora già all’alba dei trent’anni, la titolare dello stabilimento con la sua storia di ordinario tradimento del marito che fa il bagnino, scoprendomi attratto da una coppia di donne dell’Est che sembrano sorelle e dormicchiano sotto il solleone. Una è flessuosa, magra da far apparire l’incavo che porta all’inguine, lo slip con il nodo fatto a mano e un top ricamato. L’altra dolcemente curvy, il taglietto del cesareo nascosto a malapena, due rotondità abbondanti che straripano dal reggiseno floreale. Chiedo in giro, con circospezione. Sono madre e figlia. E non mi faccio mistero di desiderarle entrambe, in un talamo d’inverno, il camino acceso, un vino rosso che scalda l’anima mentre i corpi si rilassano su pellicce morbide e profumate.
È così che inizio a leggere e sprofondo così tanto nella lettura che i minuti volano mentre gli schiamazzi limitrofi e il trillio dei cellulari cadenzano un pomeriggio stanco.
All’ora dell’aperitivo, spostandomi a bordo piscina vicino al bar, praticamente sulla strada pedonale, scorgo Hana, l’amante del ricco industriale, che vive una vita di agi e vizi.
Non è lei l’obiettivo del mio interesse, ma una sua amica che sorride, maliziosa.
“Vedo che non sai come trascorrere il tempo sulla spiaggia” mi stuzzica.
“Prego?” rispondo, fingendo di non averla notata prima.
“Se un uomo viene allo stabilimento con un libro grosso così… con tutta questa collezione di bellezze…”. Col suo sguardo, la donna indica un gruppetto di giovani che stanno prendendosi da bere. Sono tutti sui vent’anni, ma c’è un gap culturale che ci separa più dell’anagrafe, che ci distanzia di un paio di lustri.
“Bella gioventù” rilancio, ma quella non mi si fila.
Così ordino il mio Negroni e le faccio servire un doppio di quello che beve, che scopro essere un Daiquiry.
“Allora esistono ancora uomini galanti” torna a me con lo sguardo.
Accenno a un brindisi, ma la distanza che ci separa rimane di qualche metro mentre un moccioso continua a far rimbalzare il pallone sotto la tettoia in giunco e il rumore delle atmosfere disturba non poco. Non dico niente contro quel bimbetto, anche per rispetto a sua madre che con le amiche siede sui divanetti. È un club di spose, quello. E la mamma del moccioso è una donna per la quale provo un certo affetto. Nelle lunghe settimane senza marito, è stata tra le prime a rivolgermi la parola l’estate scorsa. E verso il mercoledì di ogni settimana, è stata l’unica ad accettare un cocktail ripagandomi per una banale attenzione con dei pompini che mi fanno sudare freddo tanto sono intensi. Ghiaccio che si scioglie al solo pensiero. “Amo mio marito e non lo tradirei mai” mi ha detto una sera, mentre le mie dita le massaggiavano delicatamente le labbra del basso ventre, con lei in una posizione scomoda sulla mia auto, la testa che tornava precipitosamente a sollazzarmi l’uccello. “Vorrei averti” le avevo sussurrato e lei con l’indice aveva cercato il mio naso, mentre continuava a pompare. Si era fermata solo quando le avevo infilato una falange nel sedere. Mi aveva allontanato la mano, interrompendo il prelievo. “Questo poi proprio no” aveva detto. “Non mi dirai che sei vergine lì” avevo giocato. “Il culo e la fica sono solo per mio marito. La bocca e la mano sopperiscono per quelli come te”. La pronta risposta mi aveva arrapato e le avevo spinto la nuca verso il cazzo, che era scomparso tra le sue fauci ospitali, fino a soffocarla quasi tale era stato l’impeto della mia eruzione alla crema pasticcera.
Ma stasera non ho che occhi per l’altra.
L'amica della donna dei miei desideri inconfessati.
Lei dirige questa overture mentre sento salirmi in gola quella voglia che riconosco senza difficoltà.
E' un gioco di rimandi, di occhiate, di doppi sensi immaginati, sorrisi in libertà mentre ingoio wermouth rosso, Campari e gin, mentre lascio che il ghiaccio calmi i bollenti spiriti e mangio in un colpo solo il cuore dell'arancia inzuppata di alcol.
Ogni atto, ogni singolo movimento è accompagnato dal lavoro leggero della lingua che serve come mantra per la testa di lei.
E lei con le dita affusolate carezza lo stelo del bicchiere quasi fosse un membro in sottile miniatura.
La rivedo l'indomani. Stessa spiaggia stesso mare. Stesso libro aggiungo. Con lei che sorride e mi dice: "Ma allora fai sul serio".
Sorrido mentre le passo accanto. Non mi siedo. Resto in piedi, la spugna sulla spalla. "Magari facciamo un bagno insieme o ci prendiamo qualcosa... Ti va di mangiare un'insalata più tardi?".
Sotto la tenda si sta che è una meraviglia. La brezza marina carezza onde spumeggianti. Le giovani mamme sono già a casa a dar da mangiare ai piccoli, qualche anziano sonnecchia. Noi riprendiamo il discorso esattamente da dove lo avevamo lasciato.
Beviamo un vinello fresco, bianco. Mangiamo anzi speluzzichiamo qualcosa. Lei mi chiede di cosa parli il libro, sembra interessata.
Indossa un costume intero, che lambisce le melotte lasciando intravedere il segno del sole e la purezza della carne candida.
Ha un'onesta terza di coppa, ormai saprei riconoscere la morbidezza anche a occhi bendati.
E sono bendato, la sera, mentre lei mi fa accomodare sulla poltrona in vimini, con ampi braccioli, nel giardino della villetta protetto da un'alta siepe.
Il sole deve ancora tramontare. Siamo a casa sua perché devo darle un passaggio, ceneremo con la donna dei miei desideri e il di lei marito. Solo che, aspetta un attimo, sussurra, non so cosa mettermi. E sale al piano superiore per cambiarsi d'abito. Ma prima mi benda. La lascio fare. Conosco la mente della donna, quando agisce ha già elaborato una trama che solo la sua mente perversa sa percorrere. E tu devi lasciarla fare.
Cosi quando scende mi dice, adesso guardami e dimmi, in tutta onestà, se sto bene.
Sciolgo il fazzoletto di raso di seta e resto immobile con lo sguardo. Se William Shakespeare fosse qui, le dedicherebbe il vero Sogno di una notte di mezza estate. E' solare nella brillantezza di un corpo abbronzato sottoposto a un'ampia dose di creme che trasudano da tutti i pori. I capelli al vento sono leggermente arricciati per la salsedine. Ha due orecchini lunghi, di corallo rosso. Stesso colore che domina una camicia di trasparenze estreme, unica protezione su un corpo sodo, i seni liberi e sodi, i capezzoli che strusciano col velato. Porta una mini che lascia intravedere quel triangolino di vuoto tra la passera e le cosce. La perfezione, per me. Si gira e resta così, le chiappette rotonde che finiscono praticamente dove finisce il tessuto, uno stacco di coscia imperiale, le scarpe con un bel tacco 15 e una specie di serpe che sale fino al polpaccio.
Non glielo chiedo ma mi accontenta e si piega leggermente in avanti. Quel tanto che serve per far vedere che la mutandina, in pizzo leggero, chiede solo di essere morsa. In mano ho una coppa di champagne ghiacciato. La poso su un tavolinetto. E senza che lei debba dir niente, le sfioro col dorso della mano l'interno coscia provocando un lieve brivido tanto è fredda la mano. Afferro la vulva da dietro. Il pollice tra le natiche, la mano a cucchiaio e inizio a massaggiarla, lentamente. Lei freme ed è già calda quando mi alzo in piedi. Ho l'uccello che strappa lo slip e il pantalone di cotone bianco. Lei si gira per massaggiarlo attraverso il tessuto, ma le dico no con la testa. La faccio coricare sul divanetto, così com'è. Lasciandole la camicetta con le tette che si allargano seguendo la gravità e il ventre scoperto, tirando su delicatamente la minigonna, quel tanto che serve a liberarla nei movimenti. E con la mano che nel frattempo si è scaldata, inizio a sfiorarle clitoride, promontorio e a penetrarla con le dita.
Lei mi impone un "dammelo, ho voglia", al quale rispondo no silenziosamente.
Continuo a massaggiarla, con dolcezza. La tocco nell'intimità prolungandone l'agonia. Lei allunga la mano verso il pacco, ma mi ritraggo. Mi metto centrale e mi tolgo la camicia restando a torso nudo. Lei afferra lo slip, fa per toglierlo ma io sono più veloce e glielo strappo gettandolo sul prato. Mi inchino alla sua femminilità e inizio a baciarla. Lei non vuole, meglio vuole il cazzo. Ma io continuo di lingua e con le mani afferro le mele sode, cerco il suo ventre, risalfo fino ai seni, li tocco, li strofino, li strizzo con ferma delicatezza per non farle male.
Lei inizia a inarcare la schiena. Io insisto. Lei stringe leggermente le cosce. Io perseguito. Lei si alza quasi. E io lecco ancora. Finché sento che sta per arrivare, la sento fremere, la sento ansimare con un sibilo che vorrebbe trasformare in urla ma non può perché ci sono i vicini.
Bevo il suo seme che scivola lungo le labbra di una fica glabra, rasata di fresco, nessun pelo. Continuo a leccare mentre lei riesce a malapena a sillabare:
S- E-I-S-T-R-O-N-Z-Z-O-O-O-
A quel punto mi alzo, il cazzo in tiro. Lei si mette seduta. Sorride compiaciuta. E' pronta con la mano e con la bocca e già immagino cosa accadrà.
E invece la tengo ferma. Mi sbottono il pantalone. estraggo il membro che è teso allo spasimo. La fermo e le infilo due dita in bocca. E mentre me le lecca inizio a masturbarmi. E continuo a segarmi ammirandola nella penombra di un gioco di candele e ombre che s agitano sulla parete.
Mi masturbi perché ho deciso che stasera si fa così. La giro a pecorina e aumento il battito della mano sulla nerchia. Le allargo delicatamente la fica e continuo a sbattermelo. Le stuzzico il sedere e le infilo un polpastrello nel culo, mentre sento che sale in me la linfa pompata dal sangue. Sento la vena che è estesa al massimo del piacere, la carne dell'uccello inizia a farmi male. la giro verso di me. Ha quel sorriso a metà tra la sorpresa e il desiderio. E le esplodo sul volto, con un getto caldo che conquista la guancia e inizia a scendere, lentamente, verso il mento.
Solo in quel momento decido di infilarle il cazzo in bocca. per farmelo pompare ancora un po'.
Lei, monella, capisce. E inizia a stantuffarmelo veloce, con esperti colpi di mano per non fargli perdere la pressione. Il liquido seminale continua a uscire a piccoli fiotti e lei beve, beve e beve ancora. La lingua gira vorticosamente attorno al glande. I miei umori ormai hanno chiazzato la sua camicetta. Arriva il secondo colpo, inatteso anche per me. Sbrodo come un cane in calore.
Appena abbiamo finito lei va a cambiarsi la camicetta. Io mi pulisco l'uccello su quel che resta della sua camicetta di seta preziosa.
Usciamo che non sono ancora le 22. Il cielo non è ancora buio. E' solo l'inizio della serata e lei mi chiede: "Perché non mi hai scopata?".
"Perché voglio scopare prima la tua amica e lo faremo a tre".
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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